All’epoca di Pammmachio fu costruita una chiesa al di sopra del primitivo luogo di culto; la chiesa venne a sfruttare in parte le strutture murarie degli edifici abitativi sottostanti, che furono rasate e interrate per adeguarle al livello della nuova costruzione. L’assetto architettonico della chiesa è rimasto praticamente invariato, nonostante i diversi restauri subiti nel corso dei secoli. Si tratta di un edificio a pianta basilicale, absidato, con tre navate divise da due file di 12 colonne (successivamente inglobate in pilastri). La facciata originaria della chiesa, rimessa in luce da recenti restauri, presenta cinque arcate su colonne di spoglio nella aprte alta che corrispondono ai fornici d’ingresso. Pompeo Ugonio ricorda l’esistenza, al centro della navata principale, di un altare; questa struttura poteva essere forse in connessione con la sottostante confessio. Non è stata del tutto chiarita la relazione esistente tra l’edificio basilicale e le memorie dei santi Giovanni e Paolo; è comunque certo che i compilatori degli Itinerari altomedievali – così come i pellegrini dell’epoca- vedessero nella chiesa o negli ambienti sottostanti una qualche emergenza che potesse ricordare una struttura sepolcrale.Descrizione: Secondo una passio di VI secolo, poco attendibile, Giovanni e Paolo sarebbero stati due martiri romani dell’epoca di Giuliano l’Apostata, uccisi nel 362 e sepolti nella loro casa del Celio, insieme con tre compagni di martirio, Crispino, Crispiniano e Benedetta. Questo racconto è privo di attendibilità storica e venne creato sulla scia dell’esistenza, nel VI secolo, di una chiesa dedicata a Giovanni e Paolo dove evidentemente esisteva un culto anche per gli altri tre personaggi. Secondo l’autorevole parere del Franchi de’Cavalieri e del Delehaye, Giovanni e Paolo devono identificarsi con gli apostoli, che avrebbero avuto un culto rappresentativo nella chiesa del Celio, forse in rapporto alla presenza di reliquie. La devozione popolare li avrebbe poi trasformati in martiri romani, inventando anche il particolare della sepoltura nella loro casa. Nell’altomedioevo questa tradizione doveva essere del tutto affermata: gli Itinerari del VII secolo e i papiri di Monza concordano nel ritenere che nella basilica celimontana si trovassero le tombe dei martiri Giovanni e Paolo. Nel De Locis, in particolare, si specifica che i due erano sepolti in uno tumulo. Il luogo dove si veneravano le spoglie dei santi era situato in una confessio, alla quale si accedeva da una scala nella parte settentrionale del vicolo-cortile situato a nord del complesso domestico. Verso la metà del IV secolo, questa scala (risalente ai primi decennidel IV secolo) fu tagliata ad una certa quota e si creò un pianerottolo, sul fondo del quale fu ricavato un piccolo vano dotato di una nicchia sulla parete di fondo (e non una fenestella confessionis come si riteneva generalmente prima degli studi del Brenk), forse per accogliere delle reliquie. Venne anche eseguita una serie di pitture sulla parete di fondo e sui lati della confessio, con figure di oranti, scene di offerta e di martirio. Questa serie di strutture potrebbe essere l’indizio del potenziamento del culto dei santi, forse in relazione con l’importazione delle reliquie. L’oggetto del culto sarebbe dunque entrato in uso tra la metà del IV secolo (stando alle evidenze archeologiche) e la metà del successivo, epoca alla quale risale la testomonianza del Martirologio Geronimiano. Entrata in uso: tra l’anno 350 e l’anno 450 Reliquia: Ossa
Raccolta di ex voto: Dato non disponibile
La più antica attestazione dell’esistenza di un culto di Giovanni e Paolo a Roma risale al Martirologio Geronimiano (400-450); non tutti gli studiosi, però, concordano nell’attribuire questa notizia alla prima redazione del Martirologio, potendo invece appartenere ad una recensione gallicana del VI secolo (Amore, I martiri, p.291). Una chiesa dedicata ai due santi è documentata anche da un’iscrizione funeraria dell’anno 535 di un presbitero sanctorum Iohannis et Pauli (cfr. Nuovo Bullettino di Archeologia Cristiana, 1909, p. 58). La cronologia del titulus è però più antica: tra i sottoscrittori del sinodo del 499, infatti, compaiono anche alcuni presbiteri del titulus Byzantis e del titulus Pammachii, denominazioni che devono riferirsi alla prima istituzione del nostro edificio liturgico. Nel sinodo del 599, infatti, a queste denominazioni si sostituisce quella del titulus Sanctorum Iohannis et Pauli. La questione della esistenza nel V secolo di due tituli differenti è piuttosto dibattuta. Secondo alcuni, inizialmente un Pammachio (personaggio storico, evergete cristiano, noto dalle opere di San Girolamo e morto nel 410) avrebbe fondato il titolo, mentre solo in un secondo tempo un personaggio di nome Bizante sarebbe intervenuto, forse con un nuovo atto di fondazione. Secondo il Pietri, invece, si sarebbe trattato di un atto di coevergesia da parte di questi due personaggi. I due titoli sarebbero poi rimasti distinti per un certo periodo, forse per ragioni amministrative. In un’iscrizione che decorava la facciata della chiesa, risalente probabilmente all’epoca di papa Leone Magno e nota dalla Silloge Laureshamensis, era menzionato Pammachio come costruttore della chiesa. Nel corso del V e del VI secolo, dunque, dovevano coesistere tre intitolazioni: due ufficiali, legate al nome dei fondatori della chiesa titolare, ed una collegata invece al culto di Giovanni e Paolo, che avrebbe poi preso il sopravvento; anche nel Liber Pontificalis si ricorda che papa Simmaco (498-514) fece alcuni lavori nella chiesa ad beatum Iohannem et Paulum. Un breve periodo di abbandono dovette verficarsi in seguito alle devastazioni di Roberto il Guiscardo del 1084; l’edificio, danneggiato, fu prontamente restaurato da Pasquale II.
Una passio degli inizi di VI secolo, successivamente rimaneggiata con aggiunte ed interpolazioni, narra del martirio di Giovanni e Paolo, due ufficiali della corte imperiale, all’epoca di Giuliano l’Apostata; i due santi sarebbero stati decollati nella loro casa, dove distribuivano elargizioni ai poveri, e lì sepolti in una fovea. Il racconto continua con il tentativo, da parte del compilatore, di spiegare il cambiamento di denominazione del titulus celimontano; dopo la morte di Giuliano, il successore Gioviano, amico di Giovanni e Paolo, ordina al senatore Bizante di ricercare i corpi dei martiri. Ritrovato il sepolcro, Bizante, insieme con suo figlio Pammachio, edifica in quel luogo (in domo sanctorum) una chiesa per volere dell’imperatore. Nella passio si parla anche del presbitero Crispo, del chierico Crispiniano e di Benedetta, uccisi durante la persecuzione di Giuliano per aver mostrato agli altri fedeli il luogo di sepoltura di Giovanni e Paolo (Acta Sanctorum, Iunii, VII, Parisiis 1867, pp. 140-141). La data del martirio di Giovanni e Paolo, il 26 giugno, è ignorata dai più antichi redattori della passio e potrebbe essere relativa all’anniversario della dedicazione della basilica. Riguardo gli altri tre martiri venerati nel santuario, Crispo e Crispiniano sono ricordati dal Martirologio Geronimiano il 27 giugno, cioé il giorno dopo quello di Giovanni e Paolo, ma con l’indicazione topografica della via Tiburtina; Benedetta è invece sconosciuta alle fonti liturgiche e agiografiche. Soltanto per i prinmi due si può pensare a martiri romani autentici, ma le loro relazioni con Giovanni e Paolo devono considerarsi un’invenzione dell’autore della passio, motivata dalla vicinanza della data di celebrazione tra i due gruppi di martiri.
Un’iscrizione pseudo-damasiana, attribuibile agli inizi del V secolo, ricorda l’esistenza di un altare dedicato ai Santi Giovanni e Paolo; questa testimonianza, tuttavia, secondo il Ferrua deve essere riferita, piuttosto che alla chiesa celimontana, al culto dei due santi in Vaticano (Ferrua, Epigrammata, pp. 114-116).
Nel 1575, il cardinale Niccolò di Pelue, sostituendo l’altare della confessio, scoprì il sepolcro dei martiri e ne portò le reliquie in Chiesa, dividendole fra due altari posti di rimpetto nella navata maggiore; questi altari furono decorati con affreschi -oggi perduti- raffiguranti scene di martirio, opera di Raffaellino da Reggio e Paris Nogari. Nel 1677, il cardinale Filippo Howard distrusse la schola cantorum cosmatesca e i due altari della navata maggiore, trasferendo tutte le reliquie nell’altare posto nell’abside della chiesa. Nel X secolo si ha notizia del trasporto di alcune reliquie al monastero di Pagerne e, da qui, a Friburgo. Reliquie furono anche portate nell’abbazia di Casamari e successivamente, dal 1572, nella cattedrale di Veroli. A partire dal 1877, sono stati intrapresi importanti scavi archeologi da Padre Germano da San Stanislao, che hanno portato alla scoperta delle strutture esistenti al di sotto della chiesa.
La chiesa venne fondata come titulus romano, dunque di giurisdizione pontificia. Nel Medioevo, la chiesa divenne titolo cardinalizio: un frammento di iscrizione della fine dell’XI secolo, menziona un Teobaldo cardinale titolare della chiesa.
Papa Clemente XIV nel 1773 affidò la cura spirituale della chiesa ai padri passionisti, che tutt’oggi officiano il santuario.
Clemente X affidò la cura spirituale della chiesa a questo ordine ecclesiastico.
La chiesa venne affidata a questi Padri da papa Niccolo V.
Tra i firmatari dei sinodi romani del 499 e 595, compaiono i nomi di alcuni presbiteri (Giovanni, deusdedit…) che dovevano amministrare la chiesa titolare.
Una sorta di patronato può ritenersi l’atto di fondazione del titolo da parte di Pammachio (benefattore della chiesa romana, noto dagli scritti di San Girolamo e fondatore anche dello xenodochio di Porto), del quale conosciamo la data della morte, avvenuta nel 410. Uno stesso rapporto di patronato può postularsi anche per Bizante, personaggio meno noto, al cui nome è legato ufficialmente il titolo negli atti del sinodo del 499.
Piazza dei Santi Giovanni e Paolo, 00184 Roma, Italy
Santi Giovanni e Paolo
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