Del complesso cultuale che sorgeva sul pianoro restano ancora parti dell’edificio conventuale e, sul lato opposto a questo, una grotta che, molto probabilmente, deve avere avuto un peso notevole per l’instaurarsi del culto. Dell’edificio conventuale restano oggi, ben visibili, solo le mura settentrionali ed occidentali che si elevano per circa nove metri, suddivise in quattro gradoni. Ai primi due, fatti con pietre irregolari e lavorate rozzamente, segue un gradone ad opus incertum ed un quarto, più recente, che appartiene alla chiesa medievale. Le altre mura dell’edificio sono più o meno interrate. La parte scoperta presenta un primo vano che reca ancora, in alcuni punti, tracce di intonaco. La parte parzialmente coperta è suddivisa, invece, in due ambienti comunicanti coperti con volta a botte. Un piccolo ingresso introduce al primo vano; sulla sua parete destra si aprono tre piccole nicchie ed una quarta si apre sulla parete di fondo. L’accesso doveva avvenire per mezzo di scalini interni, dato il dislivello ancora riscontrabile tra il vano scoperto e gli altri. Le nicchie avevano come base grosse lastre di terracotta, di cui restano ancora tracce visibili. Il secondo vano, non più raggiungibile dalla porticina interna di comunicazione, è accessibile dall’esterno, attraverso un buco fatto nel muro: il vano presenta tre nicchie sulla parete est ed una finestra sul lato verso valle. In esso è stata ritrovata una stele con simboli misterici e nel bordo tracce di un’iscrizione latina arcaica danneggiata ma alludente al dio Mitra. La scritta, ricostruita, risulta essere MITRIUS SIRIACUS. Nello spessore del muro di separazione fra questi due ambienti è visibile un condotto di terracotta che doveva provenire da un piano superiore. Interessante, sullo spigolo esterno dell’edificio, a circa due metri da terra, è un doppio fallo sormontato da una figura, scavato nella roccia. L’insieme della costruzione potrebbe risalire al primo secolo a. C. ed appartenere ad un columbarium, vista la presenza delle nicchie. Su di esso sorse la chiesa di cui non si conosce l’esatta planimetria. Il complesso doveva comprendere tutto il pianoro, almeno a giudicare dai resti delle mura che lo delimitano: quelle sul lato settentrionale del pianoro, ad esempio, nei pressi della parete rocciosa, sono costruite con pietre di notevoli dimensioni. Per quanto riguarda la grotta, essa è parzialmente chiusa nell’imboccatura da resti di una costruzione di cui rimangono due tratti di muro. Il lato più corto è perpendicolare alla parete rocciosa sulla quale sono presenti i sostegni per le travi del tetto. Un basso muro a secco restringe la zona d’ingresso, ricordando il lungo uso pastorale cui è servita la grotta. All’interno essa è irregolare e non presenta tracce di adattamento, salvo una piccola nicchia sul fondo che, però, potrebbe anche essere naturale; il terreno è uniforme e in leggera salita verso l’interno. La mancanza di strutture nella grotta fanno pensare che essa non abbia mai avuto funzione nel complesso cultuale.Luogo: Grotta, Altro
Raccolta di ex voto: Dato non disponibile
Le prime notizie relative alla chiesetta medievale di San Leopardo risalgono al 789, data in cui i duchi di Spoleto, Lupo e Ildebrando, la donarono al monastero di San Vincenzo al Volturno. Alla metà dell’Ottocento San Leopardo, dove in precedenza si era insediato un piccolo monastero di religiose, risulta essere già diruto.
Da una visita pastorale, fatta tra il 22 e il 30 novembre 1729, si apprende che la chiesetta rurale, posta fuori le mura, era del signore della terra; in essa era eretto un beneficio semplice, posseduto, in tale data, da don Angelo Clementi, canonico della cattedrale di Sulmona. Per riparare la chiesa, che mancava di tutto, si stabilì di sequestrare i beni di cui essa godeva. Nel 1745, i beni della chiesa, ancora diruta, vennero aggregati al patrimonio del clero di Pacentro.
In una visita pastorale fatta nel 1356 nella diocesi di Valva si ricordano gli ecclesiastici che si occupavano della chiesa rurale di San Leopardo.
Nel 789 Lupo e Ildebrando, duchi di Spoleto, donano al Monastero di San Vincenzo al Volturno la chiesa di San Leopardo. Nella Cronaca Volturnense, all’anno 816, essa viene confermata ai monaci di San Vincenzo al Volturno, insieme ad altre chiese, da parte dell’imperatore Ludovico il Pio. Appartiene a loro ancora nell’871, ma la notizia successiva su di essa risale ai primi del secolo XI, quando Pietro, abate di San Vincenzo al Volturno, domanda giustizia per il fatto che da anni gli sono state tolte varie chiese fra cui San Leopardo.
67030 Pacentro, Province of L’Aquila, Italy
San Leopardo
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